L'essenziale è invisibile agli occhi
Per molti anni la musica è stata strumento per glorificare Dio e il creato, in un secondo momento per esaltare e per far rimanere impresso nei ricordi ciò che non è tangibile.
In questo articolo provo a descrivere quanto di intangibile ci sia nelle organizzazioni e di quanto questo sia importante: la spiritualità.
Eh si avete capito bene: spiritualità! E
non mi riferisco a qualcosa che ha a che fare con lo yoga o le teorie
trascendentali asiatiche, ne tanto meno con i dogmi delle religioni monoteiste. È un tema ancora poco conosciuto in Italia ma che speriamo possa entrare presto nelle culture organizzative italiane, anche di quelle più piccole.
Il concetto di spiritualità a lavoro nasce nei primi anni '80 in America.
Attualmente, in letteratura si riscontrano numerose definizioni del costrutto,
a causa della sua delicata natura d’estrazione e l’ambiente in cui essa è nata
e si è sviluppata. Una delle definizioni più diffuse e più accreditate dal
mondo scientifico è quella degli studiosi Ashmos e Dunchon (2000, p. 137), i
quali identificano la spiritualità al lavoro (workplace spirituality) come “un
riconoscimento del fatto che i dipendenti abbiano una vita interiore che nutre
ed è nutrita da un lavoro significativo che si svolge nel contesto della
comunità”. Da questa definizione è possibile già percepire la complessità del
tema, che racchiude al proprio interno più sfaccettature:
- il concetto di vita interiore, indice della comprensione o conoscenza di una potenza trascendentale (che va oltre le cose materiali) e di come sia possibile usarla per vivere pienamente;
- il lavoro significativo, si verifica quando i lavoratori riconoscono che il loro lavoro dà significato o ha uno scopo per la loro vita;
- la comunità riferendosi a come le persone si sentano connesse con il proprio lavoro.
Come affermano le studiose Kinjerski e Skrypnek “la
spiritualità al lavoro è, dunque, uno stato ben definito, caratterizzato da
dimensioni cognitive, interpersonali, spirituali e dimensioni mistiche.
Coinvolge: l’impegno lavorativo caratterizzato da un profondo senso di
benessere, la credenza che uno sia impegnato in un lavoro significativo che ha
un alto scopo, la consapevolezza dell’allineamento tra i valori e le credenze
di ciascuno e del lavoro, e il senso di essere autentico; la connessione
spirituale caratterizzata da un senso di unione con qualcosa più grande di sé,
il senso di comunità caratterizzato dal sentirsi legato agli altri e ad uno
scopo comune, e l’esperienza mistica o unificante caratterizzata da uno stato
positivo di energia e vitalità, il senso di perfezione, trascendenza, e esperienze
di gioia e beatitudine” (2004, p. 37).
Perchè parlare di spiritualità nelle organizzazioni?
Numerosi studi mettono in evidenza come questo costrutto ha effetti positivi in
termini di miglioramento delle performance, della soddisfazione lavorativa, del benessere organizzativo, del clima organizzativo, ma anche
nella riduzione delle stress lavoro-correlato e del rischio di burnout. Autori
come Biberman e Whitty (1997) suggeriscono che la spiritualità nei luoghi di
lavoro può portare ad una maggiore gentilezza e correttezza, e anche ad una
democrazia industriale, nota anche come fenomeno della “co-gestione” o
condivisione del potere. Infatti, questi studiosi affermano, “riaccendere la
spiritualità al lavoro non è solo un buon affare, ma anche inconsciamente
ricercato da lavoratori e dirigenti nello stesso modo”.
La spiritualità diventa
quindi un mezzo attraverso il quale promuovere l’integrità e l’integrazione,
includere etica ed estetica sul posto di lavoro, contribuire allo sviluppo
della competenza emotiva e spirituale, favorire metodi olistici di lavoro,
sviluppare comunità di lavoro, potenziare la forza lavoro.
Avere uno scopo comune, sentirsi parte di qualcosa che va oltre, sentirsi vitali in connessione con i colleghi, quanti di noi lo hanno provato o lo provano nello svolgere il proprio lavoro?
Se la risposta è più spostata verso il negativo allora dobbiamo cambiare qualcosa.
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